LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"BEI TEMPI QUANDO LA VERITA' SI AVVERAVA NECESSARIAMENTE!"
creata il 19 ottobre 2009 aggiornata il 22 ottobre 2009

 

 

 

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“Tempo epistemico prescientifico”

Finché non si esce dal dominio della coscienza, la nozione del tempo è relativamente chiara. H. Poincaré, Il valore della scienza, 1898-1905

Prendendo a modello la logica aristotelica – la perfezione della logica, secondo Kant, nata tutta armata come Atena dalla testa di Zeus – si sarebbe tentati di dire che gli antichi non conobbero alcuna forma di logica modale che incorporasse la nozione di tempo. In effetti, la logica è presentata da Aristotele sub specie aeternitatis. Le verità logiche sono eterne, non si evolvono e non sono soggette alla corrosione del tempo. Tuttavia, sarebbe un errore credere che nella logica classica il tempo non giochi un ruolo. Già il questionamento aristotelico sui “futuri contingenti” (l’evento di una futura battaglia navale) dovrebbe mettere sull’avviso del contrario. Gli antichi avevano una teoria del tempo. Non importa quanto lacunosa. Ciò faceva dire ad Agostino: “Se nessuno mi chiede cos’è il tempo, lo so. Se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più” (Confessioni, libro XI, cap. 14). In prima battuta possiamo dire che la teoria antica del tempo era implicita nella loro forma prevalente di pensiero, tipicamente nel logocentrismo, cioè nel dominio del logos sull’essere. È possibile esplicitare oggi l’antica teoria del tempo? Secondo me è possibile, addirittura individuando il sistema assiomatico che governa il logocentrismo antico e moderno. (Questa non è una pagina erudita di storia della logica. Nasce da esigenze attuali di contrastare il logocentrismo in tutte le sue varianti attualmente affioranti).

Come viatico all’analisi teniamo presenti le ispirate parole di Agostino, che fanno seguito alla citata dichiarazione di ignoranza – precisamente di semiignoranza:

“Eppure posso affermare con certezza di sapere che se nulla passasse, non esisterebbe il passato; se nulla sopraggiungesse, non esisterebbe il futuro; se nulla esistesse non esisterebbe il presente.
Passato e futuro – in che senso questi due tempi esistono, dato che il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora? E a sua volta il presente, se rimanesse sempre presente e non tramontasse nel passato, non sarebbe tempo ma eternità. Se dunque il presente, perché sia tempo, deve tramontare nel passato, in che senso si può dire che esiste, se la sua condizione di esistenza è quella di cessare di esistere?”

Agostino avverte la discrepanza, al limite della contraddizione, tra la vecchia ontologia aristotelica e la futura epistemologia, che nascerà in epoca scientifica. Agostino registra l’attrito tra essere e sapere, tra categoricità dell’ontologia e precarietà dell’epistemologia. Si potrebbe dire che proprio lì, nell’originaria incertezza del sapere del tempo, Agostino individui la condizione trascendentale dell'esistenza del soggetto – cioè la condizione necessaria della sua possibilità di esistenza. Agostino sembra dire: “Se è impossibile che sia impossibile sapere qualcosa del tempo, allora esiste un soggetto che sa”. Ma andiamo più piano e torniamo agli aristotelici “futuri contingenti” nella versione schematica, formulata dai coniugi Kneale (W.C. Kneale e M. Kneale, Storia della logica (1962), trad. A.G. Conte, Einaudi, Torino 1972, p. 61. Le sottolineature sono nostre.) Il riferimento è Aristotele, Dell’interpretazione (9, 19).

“Secondo il Principio del Terzo escluso, noi possiamo dire oggi:

(1) O domani vi sarà una battaglia navale, o domani non vi sarà una battaglia navale.

Questa asserzione sembra equivalere a quest’altra:

(2) O l’asserto ‘Domani vi sarà una battaglia navale’ è vero, e la sua negazione è falsa, o viceversa.

Ma [agli antichi] sembra[va] ragionevole dire:

(3’) Se è vero oggi che domani vi sarà una battaglia navale, è necessario, in relazione a questo fatto concernente il presente, che domani vi sia una battaglia navale.
Analogamente,
(3”) Se è vero oggi che domani non vi sarà una battaglia navale, è necessario, in relazione a questo fatto concernente il presente, che domani non vi sia una battaglia navale.

E, dalle (2) e (3) prese insieme, segue la conclusione:

(4) Ciò che accadrà domani è già determinato [oggi], comunque noi agiamo; dunque, ogni deliberazione è inutile.

Vi è chiaramente qualcosa di errato in questa breve prova del fatalismo e Aristotele fa bene a respingerla – osservano i Kneale. Ma la sua risoluzione della difficoltà non è del tutto chiara.”

Lasciamo da parte l’argomento di Aristotele, che difende il Principio del Terzo escluso (1), pretendendo negare il Principio di Bivalenza (2). (Posizione che agli inizi del XX secolo Brouwer finalmente capovolgerà, concependo una logica intuizionista che mantiene la bivalenza e sospende il terzo escluso). Il nucleo patologico della concezione prescientifica del tempo è nelle (3), che riassumono tutto il logocentrismo dell’antichità classica e ce lo presentano come fallacia deterministica o fatalistica, riconoscibile anche nelle formulazioni moderne del logocentrismo, per esempio nel motto lacaniano Moi, la vérité, je parle.

L’assioma logocentrico recita:

(3) Se p è vera, allora p è necessaria.

In breve, ogni verità è necessaria.

Le verità possibili o contingenti sono proscritte dal logocentrismo. Il logocentrismo lacaniano arriva a condannare la scienza, perché riabilitando le verità possibili (congetturali) o contingenti (aleatorie), fuocluderebbe la verità tout court. In realtà, ci sono ragioni individuali e collettive a sostegno di questa dottrina palesemente falsa, ma imposta come necessaria. A livello personale Lacan aveva bisogno che non ci fosse altra verità che necessaria per poter esercitare la professione di oracolo, che dice le cose come stanno e come staranno. (Un vizio comune tra medici "autorevoli"). A ciò si aggiunga, a livello collettivo, la convenienza "politica" della (3). Infatti, le verità necessarie, essendo incontrovertibili, si prestano bene a fondare sette, scuole e chiese e, soprattutto, a mantenerle stabili e governabili nel tempo. Di questo logocentrismo "politico" hanno fatto largo uso e persino abuso tutte le sette psicanalitiche, grandi o piccole che fossero: dai quattro gatti adleriani ai mille che frequentavano i seminari del dr. Lacan.

Il fatto è che nessun logico moderno ammetterebbe (3), pur ammettendo la sua inversa:

(5) Se p è necessaria, allora p è vera.

In pratica, tutti i sistemi più interessanti di logica modale moderni esordiscono ponendo (5) come assioma. Su (3) non si possono fondare sistemi di logica modale né si possono avviare tentivi di formalizzazione del discorso epistemico. Sotto la tenda della (3) non c'è nulla da fare: tutto è sotto il controllo del logos. Basta aspettare e le cose andranno necessariamente a posto. (0) Il tempo epistemico prescientifico è – paradossalmente se visto da noi – altamente deterministico ma non meccanicistico. Tutto è determinato fatalisticamente sin dall'inizio, ma non si sa attraverso quale meccanismo. Ci sono gli effetti delle equazioni di Eulero-Lagrange, che determinano la meccanica del moto di un corpo nello spazio,ma non ci sono le equazioni di Eulero-Lagrange. Questa situazione paradossale fa sì che sotto la tenda logocentrica non ci sia posto per la scienza, che opera non solo con verità necessarie ma anche con verità possibili e contingenti.

Siamo in molti a doverci rassegnare. Dopo la mossa cartesiana del 1627 la tenda logocentrica – per fortuna o per sfortuna – non esiste più. E' volata in cielo, dove la frequentano solo i teologi. A noi comuni mortali non dà più riparo. Oggi dobbiamo avviare un'operazione di lutto. Dobbiamo rassegnarci alla perdita delle certezze categoriche che dava il logocentrismo. Dobbiamo riconoscere che non tutta la verità è necessaria, cioè logicamente dimostrabile. Ciò significa riconoscere l'incompletezza originaria e incolmabile dell'impresa epistemica, in qualunque campo essa si cimenti: in matematica, in fisica, in biologia, in psicanalisi. Nella pratica scientifica, comunque perfezionata e approfondita, resterà sempre un residuo indimostrato e indimostrabile. Nel discorso scientifico il “dover essere” non governa più l’“essere”. L'etica scientifica non è, da una parte, garantita a priori e, dall'altra, "deve" – è questo il dovere morale dell'uomo moderno – fare i conti con un ineliminabile residuo di ignoranza, che rende l'azione umana aleatoria.

Dopo la decostruzione di Hume del principio di ragion sufficiente, la (3) non sopravvive... ma sopravvive nella resistenza alla scienza. Il logocentrismo oggi sopravvive nei prolungamenti del discorso prescientifico, utili alla conservazione del potere politico vigente: la medicina, il diritto e, soprattutto, il buon senso comune – nome benigno per “superstizione”. Purtroppo il logocentrismo sopravvive anche nella versione metapsicologica data alla psicanalisi da Freud, ulteriormente rivitalizzato e rinvigorito nella versione strutturalista da Lacan. Sia Freud sia Lacan – entrambi medici – resistono al lutto della modernità, immersi come sono nella nostalgia della verità necessaria dei bei tempi antichi. Il più virulento dei due è il secondo, che accusa la scienza di fuorcludere la verità, solo perché non opera solo con verità necessarie ma fa posto a verità possibili (congetturali) e contingenti (probabilistiche). Quello di Lacan assomiglia al tentativo di Don Chisciotte di far rivivere la scienza cavalleresca ai tempi in cui l'algebra araba stava invadendo l'Europa. (Cervantes aveva capito bene la portata dell'evento e finse che la prima parte del suo romanzo fosse scritta da un arabo).

In conclusione, il sapere del tempo prescientifico è rigidamente determinista, cioè rigidamente eziologico, anche se non meccanico. (Il meccanismo è sulle ginocchia di Giove). Non c’è effetto al tempo secondo che non sia determinato da una causa al tempo primo. Rispetto a questa concezione del tempo la scienza emergente nel XVII secolo comincia a prendere le distanze. Allo scire per causas va gradatamente e faticosamente sostituendo lo scire per theoremata. È un sapere affatto nuovo, ignoto agli antichi, che muove i suoi passi dal dubbio e dal non sapere, cioè dall’ignoranza. Non è un paradosso, ma una pratica che va lentamente consolidandosi, nonostante le resistenze che ha incontrato, incontra e incontrerà. Galilei formula le leggi della caduta dei gravi e del pendolo senza sapere cosa sia la gravità – e lo scrive nero su bianco. Darwin sviluppa il suo “lungo ragionamento” – sono parole sue – sull’origine delle specie senza sapere né cosa sia una specie né come si realizzi la discendenza con modificazioni. Cantor forgia una rigogliosa teoria degli insiemi senza sapere cosa sia l’essenza di un insieme. Per tutte queste performance epistemiche vale il teorema di Cartesio: Se non sai, allora saprai. Se l’ignoranza scientifica è tanto feconda, viene da esclamare:

“Viva l’ignoranza!”.

*

A chi non si commuove davanti ai teoremi di logica dico che il discorso precedente prevede una versione più umanistica e meno matematica. Che qui ora tratteggerò brevemente.

Non sono un critico letterario. Le mie conoscenze letterarie si limitano a quanto impartitomi dall’ottimo Liceo classico “Giovanni Berchet” di Milano mezzo secolo fa. Tuttavia, avendo imparato a operare con l'ignoranza durante la mia formazione scientifica, non posso non rilevare nella storia della letteratura una differenza macroscopica tra antichità e modernità.
Tranne pochissime eccezioni, nell’antichità non esistono romanzi. Il genere letterario romanzesco è nell’antichità praticamente vuoto, se si escludono pochi esemplari: l’Odissea di Omero, L’asino d’oro di Apuleio, la sua variante una Storia vera di Luciano, Dafni e Cloe di Longo Sofista. A essere larghi si può accettare come romanzo satirico – o come prefigurazione dell’Ulisse di Joyce ­– il Satyricon di Petronio Arbitro. I romanzi, invece, esplodono in epoca scientifica. Si comincia con il Gargantua e Pantagruel di Rabelais – un romanzo geografico? – e con il Don Chisciotte di Cervantes – un nuovo romanzo satirico? E da allora il genere sarà sempre più gettonato. Lo psicanalista sa che il genere romanzesco contamina anche la sua pratica. Freud si lamentava che i suoi casi clinici si scrivessero e si leggessero come novelle, prive del marchio della scientificità.
Un caso o una necessità? Sapendo che le coincidenze casuali sono molto frequenti – poco meno di 2 su 3 – occorre prudenza nell’affermare che l’avvento della scienza fu la condizione necessaria della proliferazione romanzesca. Tuttavia, ci soccorrono considerazioni di principio. Che sono di carattere negativo. Se la concezione del tempo è rigidamente deterministica, se alla causa C segue sempre l’effetto E, è difficile che lo scrittore sia invogliato a esplorare la variabilità degli effetti E1, E2, E3... di C. Ma tolta la variabilità degli effetti, è tolta alla narrazione la linfa romanzesca, che scaturisce da un'unica fonte: l'esplorazione approfondita e sistematica del ventaglio delle diverse possibili eventualità nei diversi scenari narrativi. Anche il romanzo come la scienza presuppone un'attività di ricerca. Nel ventaglio di possibilità il romanzo non cerca verità necessarie. Cerca verità probabili e contingenti, esattamente come sono le congetture della scienza. Esattamente come la scienza il romanzo non pretende mai di essere completo e categorico. Gli basta essere suggestivo. (A differenza della scienza, tuttavia, il romanzo non si aspetta confutazioni delle proprie congetture.) Nell’antichità, invece, cioè in regime eziologico stretto, il ventaglio evenemenziale si restringe e gli scenari narrativi si riducono a pochi miti, codificati dalla tradizione culturale. Allora, esiste sì l’epica – che è la narrazione standard degli eventi fondativi della città – ma non esistono romanzi; esistono sì le tragedie, sostenute dal fatalismo dell’eroe che soccombe al destino, ma non esistono romanzi; esistono sì le poesie liriche, che dicono la variabilità dell’animo umano, in un certo senso sottratto alla storia, ma non esistono romanzi; esiste sì, anzi è fiorente e considerata la scienza per antonomasia, la storiografia, ma non esistono romanzi.

Questo si può tranquillamente affermare: affinché vengano alla luce dei romanzi occorre indebolire la gabbia deterministica. E l’indebolimento deterministico avviene solo in epoca moderna grazie alla scienza. Solo in epoca moderna e grazie alla scienza prende le mosse il calcolo delle probabilità, che prevede eventi non predeterminati eziologicamente, quasi spontanei. Il calcolo delle probabilità tratta eventi meccanici ma non deterministici, esattamente all'opposto degli eventi logocentrici, che sono deterministici ma non meccanici. Il risultato del lancio di una moneta è un evento meccanico, perché la probabilità di verificarsi è simmetrica rispetto alla probabilità di non verificarsi, con centro di simmetria pari a 1/2, ma ovviamente non è determinato dai risultati precedenti. (1) Gli antichi non arrivarono a pensare questo capovolgimento. Giocavano sì a dadi, ma non avevano la teoria del gioco. All’interno di un quadro logocentrico neppure potevano averla. Il caso (tuche) in Aristotele non esiste. Esiste solo la necessità (ananche). Tutt’al più esiste la preterintenzionalità: qualcosa che succede al di là delle intenzioni del soggetto. Ho incontrato in piazza il mio creditore. Questo è un caso, perché non avevo nessuna intenzione di incontrarlo. Noto en passant che anche per Freud il caso non esiste. Ogni lapsus ha una determinante psichica precisa e ben determinabile con l’analisi. Non puoi dire un numero a caso che non sia riconducibile al tuo complesso di Edipo. Insomma, Freud è antico, per la precisione aristotelico. Non sa pensare la probabilità e la contigenza. (2) (Nell’antichità  esistettero pensatori della contingenza, in genere materialisti, come gli atomisti e gli epicurei, ma furono una minoranza).

Naturalmente, che il romanzo nasca "necessariamente" sul terreno dell’indeterminismo scientifico, è solo una mia congettura. Le congetture non si possono confermare. Si possono solo confutare, proprio perché il regime epistemico moderno non è deterministico. Un controesempio alla mia congettura è presto trovato: i romanzi giapponesi della Murasaki (978-1014) del ciclo di Genji monogatari, principe splendente, nascono in epoca prescientifica. Ciononostante, per quel che riguarda la letteratura occidentale, mi sento di proporre una conferma alla mia congettura, passando per la tragedia – valga quel che vale.

Gli antichi conoscevano la tragedia. I moderni pure. Si tratta della stessa tragedia? Evidentemente no. La tragedia antica è la tragedia del fatalismo. Edipo sa sin dalle prime battute del dramma che ucciderà il padre e giacerà con la madre ed effettivamente ucciderà il padre e giacerà con la madre, proprio come prescrive l’assioma fatalistico (3): se qualcosa è enunciato come vero sarà necessariamente vero. Anticamente l’oracolo si avverava sempre e comunque, non perché la sibilla fosse ispirata dal dio, ma perché il vento dell'epoca spirava dal versante deterministico. Tutti sapevano che il vero si avvera sempre: la tragedia antica era logocentrica. (Oggi le previsioni scientifiche non sono più oracolari, cioè non sono predizioni. Valgano per tutte le previsioni metereologiche).

Del tutto diversa dall’antica la tragedia moderna, che è “scientifica”, cioè è la tragedia del sapere, o meglio del non sapere, come è giusto che sia in epoca scientifica. Amleto ignora cosa vuole il padre ed esita a rendergli giustizia. Otello ignora cosa vuole una donna e si fida malauguratemente del sapere preso a prestito dall’amico. (L’omosessualità rende cattivi servizi all’eterosessualità). Re Lear ignora cosa vuole una figlia e la mette forsennatamente alla prova. Lady Macbeth ignora cosa vuole un uomo oltre al potere. Non è forse vero che “comandare è meglio di fottere”?, come si dice nel Meridione d’Italia. Forse è più vero, invece, che la lotta per il potere porta all’impotenza. Perché? Perché in regime indeterministico nessuno ha il potere di determinare tutto. “Il potere logora chi non ce l’ha”, dice la massima andreottiana, che vuol dire “il potere logora tutti”, perché nessuno ha tutto il potere, neanche Berlusconi.
Si potrebbe dire, completando la mia congettura, che la tragedia moderna è “scientifica” perché è “romanzesca”. In quanto tale offre un godimento letterario ben circoscrivibile: l’esplorazione dei territori dell’ignoranza umana, con le sue imprevedibili conseguenze.

*

Sì, tutto questo discorso, benché solo congetturale, è interessante, ma cosa c’entra con la psicanalisi?
C’entra – o dovrebbe c’entrarci – se è vero che la psicanalisi è – o dovrebbe essere – una scienza. Se la psicanalisi è una scienza, allora è indeterministica. Ma la versione teorizzata da Freud con la sua metapsicologia è rigidamente deterministica. Tutto l’accadere psichico ha una causa psichica. Allora, la psicanalisi freudiana non è una scienza?
Proprio così. La psicanalisi freudiana non è una scienza. Nonostante le intuizioni freudiane originarie – dall’inconscio, che è un sapere che non si sa di sapere, alla Nachträglichkeit o “differanza” (secondo Derrida) – siano affatto moderne e scientifiche, la psicanalisi freudiana – è doloroso ammetterlo – è rimasta una psicoterapia – oggi giustamente poco di moda, data la sua scarsa efficienza come modello psicoterapico. Ma se è rimasta psicoterapia, vuol dire che la psicanalisi è rimasta prescientifica. Vige, infatti, in psicanalisi la concezione prescientifica, cioè eziologica, del tempo della cura. Vale per lei il motto post hoc ergo propter hoc. Siccome c’è stata la SSI traumatica, ossia la scena sessuale infantile traumatica, ci sarà la psiconevrosi. Se si elimina la SSI con la psicoterapia, il soggetto guarirà dalla psiconevrosi, perché sarà eliminata la causa. Banalità prescientifiche, come tutto il discorso del complesso d’Edipo e di castrazione.

Come se ne esce? Come accedere a una psicanalisi veramente scientifica?

L’impresa è ardua – sarei tentato di dire "impossibile" – per due ordini di ragioni: intrinseche ed estrinseche. Non saprei dire quali sono le più importanti. Posso solo dire che le ragioni intrinseche sono aspecifiche, le estrinseche specifiche per la psicanalisi.

Le intrinseche sono le ragioni generali per cui l’uomo che fa scienza resiste alla stessa scienza che va costruendo. Gli esempi storici non mancano, per cui rimando al mio Resistere alla scienza. Certo è che Freud inventò l’analisi delle resistenze al processo psicanalitico, attingendo alla propria resistenza alla scienza. I risultati di Freud sono documentati in 7000 pagine di Gesammelte Werke. Ne salverei molto poche – per esempio, quelle del Progetto per una psicologia scientifica – come pagine veramente scientifiche. La sua proposta di desiderio inconscio, forse quella per cui Freud è più noto, è a tutti gli effetti prescientifica. L’esistenza di un desiderio inconscio, infatti, è praticamente indimostrabile dal punto di vista scientifico. Prendiamo un sogno o un lapsus. Tutto e il contrario di tutto servono a dimostrare che dietro il sogno o il lapsus c’è un desiderio da interpretare. Dietrologia e interpretazione sono strumenti epistemici paranoici. Non sono da convocare in una psicanalisi che pretenda di essere scientifica. Sono da lasciare ai pubblici ministeri e ai cacciatori di indizi e moventi.

Le ragioni estrinseche, che ostacolano il passaggio dalla psicanalisi prescientifica alla scientifica, sono più gravi. Sono legate al modo in cui si è organizzato il cosiddetto movimento psicanalitico. Da subito, nelle mani di Freud, la teoria psicanalitica si è strutturata come dottrina ortodossa, difesa da un’associazione di tignosi presbiteri, i componenti della sua “banda selvaggia” (die wilde Schar), come la chiamava Freud davanti a Ludwig Binswanger. Le varianti di tale dottrina, lungi dal confutare la dottrina ortodossa, si sono configurate da subito come eresie da condannare. Le prime sono state quelle di Adler e Jung. Poi sono seguite le innumerevoli altre, finché il movimento psicanalitico non si è spontaneamente esaurito per stanchezza interiore. Oggi sono quasi cinquant’anni che non registriamo più eresie psicanalitiche, dopo l’ultima lacaniana, definitivamente scomunicata dall'IPA nel 1963.
Le conseguenze di questa politica della psicanalisi sono davanti agli occhi di tutti. “Le psicanalisi” si sono arroccate in scuole, frequentate da sette. Scuole e sette non hanno posto nella scienza, ma sono tipiche della cultura prescientifica, tipicamente della cultura filosofica. Nel contesto prescientifico la formazione dell’adepto ­– filosofo o psicanalista – avviene per conformazione alla dottrina. Ogni scuola ha la propria dottrina e i propri processi di “formazione”. In psicanalisi ci sono l’analisi didattica, l’analisi di controllo, i convegni, i congressi e altri riti di passaggio e di appartenenza.

Ripeto la domanda: come se ne esce?

Credo che sia molto difficile uscire dalle ortodossie e addirittura impossibile modificarle. Il giovane psicanalista che ha speso migliaia di euro frequentando una ben determinata scuola di psicanalisi per completare la propria formazione professionale, dove troverà mai il coraggio di buttarla alle ortiche, quando, ormai non più giovane, si rende conto che è priva di garanzie scientifiche? Senza parlare dell’impossibilità di guadagnarsi da vivere ricevendo domande di analisi fuori dalle mura di una scuola. Quando dovevo mantenere tre figli, io stesso appartenevo a scuole di psicanalisi e nutrivo poche velleità scientifiche. (I miei diari dell’epoca lo confermano). Dovevo lavorare.
Discorso simmetrico vale per i pazienti dell’analista. Infatti, come potrebbero chiedere un’analisi, se non si rivolgessero a una certa scuola che garantisce i suoi psicopraticanti? Un analista in formazione come può chiedere un’analisi a qualcuno che gli dica: “Guardi, io sono uno scienziato. Non so di formazioni freudiane, adleriane, junghiane, kleiniane, reichiane, lacaniane”. E poi, come si fa una psicanalisi scientifica? Con la poltrona e il divano? E come si paga una pratica scientifica della psicanalisi? E chi la paga: l'analizzante, l'assicurazione, la società intera? Per le scienze non ci sono già l’Università e il CNR? Si faccia lì la psicanalisi scientifica, dice il paziente. Io voglio essere curato qui e ora – continua – non voglio funzionare da cavia per uno psicanalista che sperimenti su di me le proprie congetture scientifiche. Il terapeuta non deve essere scienziato. Il terapeuta, letteralmente il “servo” (in greco therapon), è servo della dottrina dei maestri. Deve applicare la scienza condita, non deve interessarsi alla scientia condenda, che è di competenza dei maestri. (Analoghi discorsi farebbe l’analizzante che chiede una psicanalisi per diventare psicanalista).

Queste e altre meno nobili considerazioni, che lascio facilmente immaginare, fanno pensare che per la psicanalisi il tempo prescientifico – biecamente eziologico – non sia ancora passato. Non si può neppure prevedere se passerà in un prossimo futuro. La psicanalisi scientifica è per ora un lusso per pochi che non hanno bisogno né di guadagnare soldi né di ottenere il consenso popolare.
Il vero psicanalista, oggi?
Silvio Berlusconi. I soldi li ha già, il consenso popolare pure. Perciò andiamo tutti a formarci e a curarci da lui. In verità, molti italiani hanno già fatto una scelta in questo senso.

Parlando seriamente, rimando alla pagina in costruzione

“Il minimo teorico”,

dove elenco le materie di cui lo psicanalista scientifico dovrebbe avere una certa conoscenza, in qualche caso anche la pratica. Giusto per dimenticare che quello di diventare psicanalisti, come riconosceva anche Freud – allora veramente uomo di scienza –,

è un compito “impossibile”.

Note

(0) Ma attenti al trucco! L'indeterminismo, cacciato dalla porta, torna dalla finestra. Il logocentrismo non dice quando la cosa affermata come vera avverrà necessariamente. (Torna su)

(1) Di questa transizione epocale esiste un modello interno scientifico. Infatti, all'interno della scienza moderna si assiste al passaggio paradigmatico da leggi necessarie a leggi probabilistiche, che non sono meno scientifiche di quelle pur essendo più incerte. Tra il XVIII e il XIX registriamo il passaggio dalle equazioni della meccanica di Eulero-Lagrange, che regolano la traiettoria di un punto materiale, al secondo principio della termodinamica di Carnot-Clausius-Kelvin, che regolano l'evoluzione temporale di un sistema di molti punti materiali. La meccanica classica è rigidamente deterministica: la posizione di un punto materiale al tempo secondo dipende completamente dalla velocità e dalla posizione di quel punto al tempo primo, a loro volta precisamente determinabili. La termodinamica, invece, assume che al tempo primo i punti siano dotati di un movimento perfettamente irregolare (sic) e che il sistema evolva solo probabilisticamente, ma con una probabilità molto alta, verso uno stato di equilibrio, con relativo aumento (non diminuzione) dell'entropia. E' interessante notare che l'evoluzione meccanica è sempre reversibile, mentre quella termodinamica è in generale irreversibile. Il punto, che rimase a lungo enigmatico e affaticò menti eccelse (Boltzmann si suicidò), è magistralmente illustrato da Mario Ageno nel suo ultimo lavoro – un vero e proprio thrilling epistemologico: Le origini dell'irreversibilità (Bollati Boringhieri, Torino 1992). (Torna su)

(2) In generale si può dire che esiste una correlazione negativa tra forza del determinismo (logocentrico) e forza del meccanicismo (scientifico). In Freud e negli antichi, dove il meccanicismo è assente, il determinismo è forte. Non a caso Freud parla di atti mancati e sogni sovradeterminati (überdeterminiert) dal desiderio. Ma del meccanismo con cui si genera il sogno Freud non fa parola. Lo dico nonostante (e contro) le centinaia di pagine da lui dedicate al funzionamento dell'apparato psichico nei capitoli VI e VII della Traumdeutung e in tutta la Psicopatologia della vita quotidiana. Conflitti, censure e rimozioni non costituiscono modelli meccanici dell'apparato psichico – nonostante il tentativo ingenuo di introdurre i fattori quantitativi della libido e degli investimenti libidici – ma antropomorfismi di buon senso, che pescano a piene mani nella dietrologia e nella preterintenzionalità. (Torna su).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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